Riassunto e spiegazione di al di là del bene e del male
«Posto
che la verità sia una donna -, e perché no? non è forse fondato il
sospetto che tutti i filosofi, in quanto furono dogmatici,
s'intendevano poco di donne? che la terribile serietà, la sgraziata
invadenza con cui essi, fino a oggi, erano soliti accostarsi alla
verità, costituivano dei mezzi maldestri e inopportuni per guardarsi
appunto i favori di una donna? - certo è che essa non si è lasciata
sedurre- e oggi ogni specie di dogmatica se ne sta lì in attitudine
mesta e scoraggiata. Ammesso che essa in generale se ne stia ancora
in piedi!» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 3)
Al
di là del bene e del male è
considerato da Leo Strauss la migliore opera mai scritta da
Nietzsche. L'opera tratta sì del tema della morale, del tentativo di
superamento della morale, ma è molto più di tutto questo. Già
nella prefazione Nietzsche dice tutto: è un attacco a Platone e al
cristianesimo, in quanto forma di platonismo per il popolo. Nietzsche
è colui che si è posto il compito di rovesciare Platone.
Dei pregiudizi dei filosofi
Dei pregiudizi dei filosofi è il titolo della prima sezione del libro. Esso incomincia riprendendo il tema affrontato all'inizio della prefazione nel passaggio che ho prima citato: la verità. Etimologicamente la parola "filosofia" significa "amore per la verità" o "amore per il sapere". Questa è solo una definizione etimologica, badate bene. Potrei dire, ad esempio, della biologia che è "discorso sulla vita" o dell'economia che è "amministrazione della casa". Queste definizioni sono altrettanto etimologiche, ma è evidente in questi casi, come in quello della filosofia, che queste definizioni non dicono veramente nulla sulla scienza di cui si pretende di parlare. Anche la psicoanalisi, in ogni caso, ha detto che il filosofo è colui che desidera la verità. Questa definizione è un altro modo di approcciarsi alla filosofia e certamente non definisce la filosofia come scienza, ne spiega come mai la filosofia dovrebbe essere una scienza. È vero tuttavia che per molto tempo la filosofia è stata identificata con la ricerca della verità e si è pensato che il filosofo fosse colui che ha la volontà di verità. Ma da dove nasce la volontà di verità? potrebbe nascere dal suo contrario, ossia dalla volontà di menzogna? È impossibile, sostiene il filosofo, che la volontà di verità possa venire da questo mondo menzognero. Per questo deve esistere un altro mondo.
Nietzsche
ripete l'operazione distruttiva del martello, quell'operazione
cardine del testo Il crepuscolo degli idoli.
Il filosofo crede in entità inesistenti che sono solamente
supportate dal suo pregiudizio. Il filosofo crede che esiste un mondo
al di là del mondo, un mondo vero, rispetto al quale, questo mondo
sarebbe falso. È un pregiudizio su questa realtà credere che questo
mondo sia ingannevole, proprio perché non c'è nulla di più
immediato della realtà sensibile e non c'è nulla di più certo
dell'esistenza del corpo. Non potremmo nemmeno dirle queste fesserie
se non avessimo un corpo e una lingua per parlare. Il mondo vero è
una favola, una storia che non vogliamo più sentire. Il mondo
attuale è stato condannato, osserva Nietzsche, perché prospettico,
perché non è mai nello stesso modo, ma è sempre diverso a seconda
del soggetto che lo percepisce. In stati diversi o alterati, l'uomo
giudicherà la realtà diversamente. Una zanzara, chiaramente, non
vede il mondo come lo vediamo noi. Per questo, solo per questo,
dovremmo pensare che questo mondo sia finto e che ve ne sia uno più
vero?
L'uomo,
secondo Nietzsche, non è diverso dalla macchina. Questa macchina è
soggetta a una moltitudine di istinti ed impulsi. Quello che ha fatto
il filosofo prima di Nietzsche era pensare che l'istinto alla
conoscenza fosse un marchingegno che funziona da sé ed è
completamente indipendente, non essendo influenzato da altri istinti.
È proprio questo quello che Nietzsche intende mettere in
discussione! Dietro l'istinto alla conoscenza sta sempre un altro
istinto. Nell'uomo sono molti gli istinti e gli uni sono contro gli
altri. Quando l'uomo ha creduto di comandare gli istinti con la
ragione, in realtà era un istinto contro tutti gli altri che
comandava l'uomo e usava la sua ragione. Questa verità viene
spiegata da un autore inglese come Daniel W. Smith, il quale afferma
che, secondo Nietzsche, il fumatore che smette di fumare non è un
agente razionale che agisce contro i suoi impulsi a fumare, ma è
l'istinto a smettere di fumare, quell'istinto contro l'altro del
fumare, a essere il vero soggetto.
La
questione, sostiene Nietzsche, non riguarda il vero o il falso, ma
riguarda la vita. Alla vita serve ed è servita anche la menzogna.
Tuttavia, la vita non cerca la semplice conservazione o la
sopravvivenza. La vita cerca la potenza, la vita è volontà di
potenza e creazione. Kant, uno di questi cercatori della verità,
andava fiero per le sue categorie e il suo imperativo categorico. Su
cosa sono fondati questi concetti? donde sappiamo che sono veri? Kant
ci dice che dipendono da una facoltà. Kant è uno scopritore di
facoltà. Egli parla di ragione teoretica e pratica, di intelletto,
dell'immaginazione e della sensibilità. Ha cercato persino una
facoltà del giudizio, che non ha trovato. Alla ricerca delle
facoltà, osserva Nietzsche, si sono dedicati anche gli studiosi di
Tubinga. Tutte ricerche vane! che ne è, in fondo, di queste facoltà
al di là del cervello? Quello della facoltà, sostiene Nietzsche,
era solo un trucco. Oggi la psicologia nutre forti dubbi nei
confronti di simili ricerche. La psicologia, che etimologicamente
significa "discorso sull'anima", in realtà sembra più
provare la sua non esistenza, mostrando come le "malattie
dell'anima" siano "malattie del cervello".
Tutto
ciò che non è strettamente conoscenza immediata è conoscenza
mediata, dunque interpretazione. I sensi non sono nati per camuffare
questo mondo, sono i soli che ci danno qualche certezza immediata!
Più una scienza si attiene ad essi, pensa Nietzsche, più questa
scienza si avvicinerà alla certezza dell'immediato e sarà più
lontana dall'interpretazione. La fisica, ad esempio, proprio nel suo
servirsi della sensibilità ed essendo scienza sperimentale, si
avvicina alla certezza dell'immediato. Molti concetti della filosofia
non sono dati dall'esperienza sensibile o da fatti empirici, ma sono
solo interpretazioni. Nietzsche qui si riferisce principalmente a
questi tre concetti:
1
L'Io come derivato dal pensiero.
2
La volontà o il libero arbitrio.
3
La causa sui, ossia l'essere causa di sé medesimi.
Cartesio
sosteneva che dal semplice fatto che io mi rappresento qualcosa,
concepisco qualcosa o dubito di qualcosa, posso derivare che io sono.
Se non fosse vero che io sono, allora non potrei nemmeno
rappresentare, concepire o dubitare. Nietzsche nega questa
dimostrazione, mostrando che l'io non è altro che interpretazione.
Dal punto di vista di Nietzsche non è evidente l'io del soggetto
quanto è evidente il pezzo di cera nell'esempio di Cartesio o
l'impulso elettrico nel mio cervello che sta alla base del pensiero.
Il mio corpo e i corpi esterni sono più immediati del mio io. L'io è
solo una causa originaria del pensiero supposta dai filosofi. Credere
nell'io è una semplice credenza nella grammatica, come se il pronome
personale dovesse poi corrispondere a un che di reale.
Dal
fatto che esiste un'esitazione nella scelta, molti filosofi hanno
creduto che dovesse esservi una forma di libero arbitrio. Il volere è
stato considerato da molti filosofi, tra cui Schopenhauer, un
concetto alquanto ovvio, che non ha bisogno di spiegazioni. Nietzsche
nutre forti dubbi nei confronti di questo. La volontà, sostiene
Nietzsche, è da un lato un allontanarsi da un certo stato e
dall'altro l'avvicinarsi verso un certo altro. La volontà non
implica solo una tensione, ma anche un pensiero che la comanda, il
quale non è veramente distinguibile dalla volontà stessa. La
volontà, inoltre, è passione per il comando, dunque, osserva
Nietzsche, si può parlare di libero arbitrio solo riferendosi ad una
volontà che vuole il comando e un'altra che obbedisce a questa.
Nietzsche nega la libertà nell'essere umano. La libertà è stata
spesso giustificata tramite la morale. Kant aveva detto: se devi,
allora puoi. Per Nietzsche non c'è libertà, l'uomo è semplicemente
soggetto dei suoi istinti e tutti questi istinti fanno capo ad una
sola volontà: la volontà di potenza.
Della
causa sui Nietzsche non può che farsi beffe. Il concetto di causa
sui nasce in filosofia in risposta al problema dell'esistenza di Dio.
Se la mia esistenza, quella dell'uomo in generale, quella
dell'universo intero, dipende da Dio stesso, da cosa dipende
l'esistenza di Dio? Noi siamo enti, i quali abbiamo ricevuto
l'esistenza. L'esistenza di Dio non dipende da altre cause: Dio è
causa della sua stessa esistenza. Questo è quello hanno detto molti
filosofi medioevali. Essere causa di se stessi è anche un fenomeno
che sta alla base dell'autodeterminazione, ossia alla base di quel
processo per cui l'uomo diventa origine di una serie causale, così
come ha concepito la libertà Kant. Nietzsche paragona la causa sui
al barone di Münchhausen che cerca di sollevarsi tirandosi per i
capelli, immagine di un'impossibilità fisica.
Molti
filosofi hanno tanto creduto in questi concetti, a causa dei loro
dogmi e dei loro pregiudizi, ma non hanno affatto creduto alla
certezza sensibile immediata. Molti filosofi, come ho già detto,
hanno condannato questo mondo come una produzione dei nostri sensi o
un inganno di essi. I sensi, lo si capisce dalla loro natura, afferma
Nietzsche, non sono nati per produrre o costruire una realtà. Non ha
alcun senso affermare che la realtà sensibile è produzione dei
nostri organi di senso, perché questi organi di senso fanno parte di
quella realtà e dovrebbero aver prodotto se stessi. "Esse est
percipi" affermava un empirista come Berkeley, uno di questi
filosofi. Sebbene gli empiristi credevano che la conoscenza del mondo
sensibile fosse l'unica possibile, comunque facevano dipendere
l'esistenza del mondo sensibile dal soggetto stesso.
Lo spirito libero
Lo spirito libero è il nome del secondo capitolo di Al di là del bene e del male e tratta di una nuova generazione di filosofi che ancora deve venire. Nietzsche si rivolge ai filosofi attuali comandando loro di abbandonare la loro volontà di verità, di mettersi al riparo e cercare piuttosto la solitudine. Il filosofo farebbe meglio ad abbandonare tutti i suoi pregiudizi e dogmi. Egli dovrebbe cercare dei compagni solo nei cinici.
Nel
mezzo del discorso destinato ai filosofi dell'avvenire Nietzsche
compone una storia della morale, a cui si dedicherà meglio
successivamente, definendone un primo abbozzo. La morale ha una
preistoria, ma anche una poststoria. All'inizio l'uomo giudicava
l'azione non per la sua causa, ma per i suoi effetti. Egli riteneva
buona l'azione che produceva gli effetti migliori, ossia quella che raggiungeva i migliori risultati. Con la morale, invece, l'uomo non
considera più semplicemente gli effetti, ma le cause delle azioni.
Questo significa che l'uomo considera ora le intenzioni delle persone
quando agiscono. La morale giudica se le intenzioni nelle azioni sono
buone oppure cattive. Qui il riferimento va a Kant come costruttore
di una morale dell'intenzione. Dopo la morale, in questa dimensione
al di là del bene e del male, non è più l'intenzione la causa
considerata, ma le cause non intenzionali. Cause non intenzionali?
istinti, passioni: la volontà di potenza. Si noti come secondo
questo strano modello l'utilitarismo sarebbe da collocare nella
preistoria in quanto valuta l'agire morale secondo gli effetti, ossia
il bene della maggioranza.
Il
problema della filosofia: il pregiudizio per cui la verità è meglio
dell'inganno. Come si giustifica questo enunciato che a tutti i
filosofi è parso davvero ovvio? Il fatto è che il male e il cattivo
potrebbero venire dalla verità, mentre il bene dalla menzogna. I
filosofi dell'avvenire saranno quei filosofi, sostiene Nietzsche, che
hanno chiuso con la volontà di verità.
«Tutto
ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per
l'immagine e l'allegoria perfino dell'odio.» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 49)
L'essere religioso
L'essere religioso è il terzo capitolo di Al di là del bene e del male, capitolo nel quale Nietzsche spiega la natura della religione e dell'uomo religioso. La religione, secondo Nietzsche, è fondata su tre dietetiche: la solitudine, il digiuno e l'astinenza. Ciò che guida il religioso è principalmente un sentimento di rinuncia. Questo sentimento è lo stesso esemplificato nella rinuncia all'atto tipica dell'ascesi descritta da Schopenhauer. Schopenhauer, come via per la liberazione dalla volontà cieca ed egoista che è in ogni cosa nel mondo, definisce una forma di ascesi che consiste principalmente nell'abbandono a se stessi più totale: la totale rinuncia all'atto.
Tre
sono le fasi nella storia della religione per Nietzsche: prima si
sacrificavano i propri cari al Dio; poi sono stati sacrificati al Dio
i migliori istinti dell'uomo (epoca della morale); infine si dovrà
sacrificare Dio stesso per il nulla. La religione, sostiene
Nietzsche, è stato sempre uno strumento di dominio e comando per
plasmare l'uomo.
Il
filosofo è anticristiano, osserva Nietzsche. Dall'illuminismo in poi
filosofo ed ateo erano diventati quasi dei sinonimi. Ma non basta!
Bisogna sbarazzarsi dei concetti di Dio e di peccato. Un altro
pensiero ha nella sua testa Nietzsche: una strana forma di pessimismo
nella quale, tutti quelli che ci sono passati hanno poi trovato
l'istinto tracotante e dionisiaco. Con questo Nietzsche torna ai temi
della tragedia, mostrando di non aver mai abbandonato quella via.
Questo è il modello a cui il filosofo farebbe meglio ad attenersi,
in quanto il filosofo deve avere cura dell'evoluzione dell'umanità.
Sentenze
e mezzi è
il quarto capitolo di Al
di là del bene e del male,
in questo capitolo sono disposti diversi aforismi in sequenza. Cito
alcuni aforismi che potrebbero essere interessanti:
«"La
conoscenza per amore della conoscenza" - è questo l'ultimo
tranello che ci tende la morale: è così che ancora una volta ci si
coinvolge completamente in lei.» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 77)
«L'amore
verso un solo essere è una barbarie: esso infatti si esercita a
detrimento di tutti gli altri. Anche l'amore verso Dio.» (Nietzsche,
Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 77)
«Una
cosa, quando è spiegata, cessa di interessarci. - Cosa intendeva
quel dio che suggerì: "Conosci te stesso!". Voleva forse
dire: "Cessa di interessarti a te stesso! Diventa obbiettivo!".-
E Socrate? - E l'"uomo scientifico"?-» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 79)
«Non
esistono affatto fenomeni morali, ma soltanto una interpretazione
morale di fenomeni...» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p.82)
«La
volontà di vincere una passione non è in fin dei conti che la
volontà di un'altra o di diverse altre passioni.» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 83)
«Quel
che uno è comincia a rivelarsi quando il suo talento scema - quando
egli cessa di mostrare quel che può. Il talento è anche un
ornamento; un ornamento è anche un mezzo per nascondersi.»
(Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 84)
«Quel
che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male.»
(Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 86)
Si
noti come in questi aforismi ricorrano spesso i problemi della morale
e della conoscenza. Nietzsche tende quasi ad identificare le due cose
dicendo che il volere la conoscenza per la conoscenza è solo un
tranello della morale. Nietzsche accusa chiunque faccia della
filosofia una teoria della conoscenza. Si badi bene che in Germania
esistono persino cattedre in filosofia di teoria della conoscenza
(Erkenntnistheorie). Molto spesso si dice che chi ama il sapere, non
dovrebbe perseguire il sapere se non per il sapere stesso, ma questo
significa ammettere che quel sapere non è utile. Oltretutto vorremo
sapere di che sapere si tratta, si tratta forse della conoscenza
immediata che traiamo dai sensi? No, si tratta di un'interpretazione
del mondo. Quella conoscenza, così come la morale, non è altro che
interpretazione del mondo.
Per
la storia naturale della morale è
il quinto capitolo di Al
di là del bene e del male.
Nietzsche parla spesso della morale come contro natura, in libri come
Il
crepuscolo degli idoli o Genealogia della morale,
in quest'ultimo ricerca le origini della morale a partire dal
rapporto debitore/creditore. Nietzsche, oltre a condannare la morale
come falsa, come una volontà di trovare colpevoli dove non sono,
come invenzione della libertà per poter dare la colpa, cerca una
storia della morale. Nietzsche vuole comprendere da dove nasce la
morale. La ricerca dei fondamenti della morale ha impegnato
tantissimo i filosofi, ma sono stati trovati davvero questi
fondamenti? Platone affermava che il bene è l'idea delle idee e chi
conosce il bene non può che agire bene. Qui Nietzsche afferma che in
Platone c'è ancora una mezza verità: ossia che il male non è mai
veramente intenzionale, infatti Platone affermava che il malvagio è
solamente un ignorante. Il peggio è venuto dopo: è venuto quando
Kant ha detto che la legge morale è un fatto della ragione. Kant non
dimostra l'esistenza della legge morale, la considera un fatto, ossia
la dà per data. Ponendo la legge morale, successivamente Kant
dimostra che noi siamo liberi e responsabili. Egli lo dimostra così:
se tu devi, allora puoi. Nietzsche mette in questione quel che per
Kant è un fatto e afferma che non vi sono che prospettive o
interpretazioni morali di fenomeni. La verità è che la morale è
nata per un solo scopo: l'obbedienza. Si noti qui il contrasto con
Kant: per Kant l'uomo è libero e capace di autodeterminarsi, proprio
grazie al dovere e alla morale; per Nietzsche non è così, il dovere
viene da qualcuno che pretende gli si obbedisca. Se il qualcuno che
chiede l'obbedienza non è esterno, ma è interno, non cambia niente.
La morale ha sempre insegnato a tiranneggiare sui propri istinti.
Tuttavia, come ho già detto, Nietzsche crede che questo dominio di
sé è finto. In verità non vi è che una guerra tra istinti ed
impulsi. La filosofia si è spaccata in due su un problema: ragione o
istinti? Socrate e Cartesio erano dalla parte della ragione; molti
filosofi moderni, invece, hanno scelto gli istinti, mentre Platone
pensava che i due potessero conciliarsi, in quanto entrambi mirano al
Bene. La morale è sempre stata legata ad una certa arte del comando:
gli stoici con la loro etica volevano comandare con la ragione le
emozioni; Spinoza invitava a superare le passioni, ossia a non ridere
e a non piangere. Perché questo legame tra il comando e la morale?
Nietzsche ci dice che la morale europea è la morale del gregge. Un
gregge è fatto di pecore e di un pastore. L'uomo buono è l'uomo che
obbedisce, questo è l'uomo che riconosce il dovere come un fatto. Il
caso limite dell'uomo che nega signori e dei, per Nietzsche, non
cambia rispetto a quest'uomo.
Noi dotti
Noi dotti è il sesto capitolo di Al di là del bene e del male, capitolo che riprende la discussione interrotta sulla filosofia e il filosofo. È venuto il momento per Nietzsche di analizzare il rapporto tra la scienza e la filosofia. Dopo Kant assiste ad un fenomeno nella filosofia per cui le scienze si separano dalla filosofia stessa. Da questo momento, spodestata dal suo trono, la filosofia si trova in mezzo a molti concorrenti, concorrenti che vorrebbero prenderle il posto. La filosofia incomincia sempre più ad essere disprezzata e non compresa. Si accusa la filosofia di essere una materia puramente teorica e non sperimentale, intendendo con questo che non è una scienza e che non serve a nulla. Nietzsche riconosce che non esistono più grandi filosofi come Eraclito, Empedocle o Platone. Egli riconosce anche una filosofia decadente e scrive questo libro (Al di là del bene e del male) dedicandolo ai filosofi del futuro, ad una generazione nuova di filosofi. Il problema nella filosofia, e questo sembra molto attuale, è che la filosofia stessa riconosce la superiorità delle scienze rispetto a se stessa. Nietzsche si scaglia contro i positivisti. Essi sono i primi a dire che la scienza è superiore rispetto alla filosofia, mentre la filosofia non è altro che una teoria della conoscenza. Altra osservazione di Nietzsche molto attuale: la torre della scienza è sempre più alta ed esiste il rischio che la filosofia si specializzi come le scienze. Nella filosofia analitica, ad esempio, è proprio questa specializzazione che stiamo vedendo oggi. Se da un lato la filosofia analitica è una filosofia molto più sperimentale, allo stesso tempo essa è diventa una filosofia specialistica e fatta di specialisti dei settori scientifici più disparati. Ma i tempi non sono finiti e l'avvenire è ancora davanti a noi! Arriveranno un giorno questi filosofi dell'avvenire di cui parla Nietzsche e a cui questo libro di cui parlo è stato consacrato? È possibile. Questi filosofi Nietzsche li descrive come dei critici e degli sperimentatori. Qui emerge il doppio uso del martello: quello per distruggere e quello per creare. Creare scolpendo la pietra col martello.
Le nostre virtù
Le
nostre virtù,
un capitolo in cui Nietzsche mostra, al contrario di quel che ci si
potrebbe aspettare, che anche nella sua etica esistono delle virtù.
Quali sono queste virtù? Nietzsche parla spesso di "senso
storico". Il senso storico si ha quando si è consapevoli del
passato, quando si sa che non esistono valori eterni e che ogni civiltà ha i proprio valori, i quali sono stati pensati per scopi
precisi che convengono a quella società.
Nietzsche parla anche della tenacia e della capacità di sopportare
il dolore. La compassione rende gli uomini piccoli e condividere il
dolore degli altri non è altro che un modo per ridurre la propria
potenza. L'uomo non deve cercare di superare il dolore, l'uomo deve
saper soffrire e saper vivere con il dolore. Questa è la virtù
dello spirito tragico. Un'ultima virtù è l'onestà, ossia il dire
le cose per come sono. Questa virtù la mette in pratica Nietzsche
quando critica i filosofi per propri pregiudizi e li accusa di voler
negare il mondo sensibile.
Popoli e patrie
Il
capitolo Popoli
e patrie tratta
dell'uomo contemporaneo a Nietzsche. Nietzsche parla di livellamento
dell'uomo e di appiattimento dell'individuo nella massa. Hanno voluto
l'uguaglianza? volevano essere tutti uguali? Bene, dice Nietzsche, ci
sono riusciti! Hanno tutti gli stessi diritti, hanno democratizzato
tutto e si sono omologati. La democratizzazione per Nietzsche è il
livellamento dell'Europa. Nietzsche preferisce la disuguaglianza.
Questo lo si comprende bene nel capitolo successivo, laddove parla
della natura dell'aristocrazia.
Che cos'è aristocratico?
Che cos'è aristocratico? è il titolo dell'ultimo capitolo di Al di là del bene e del male. Molti confondono l'aristocrazia con l'oligarchia, ossia pensano che l'aristocrazia sia il governo dei ricchi, ma non è così. L'aristocrazia è il governo dei migliori e non dei ricchi. Chi sono questi migliori per Nietzsche? Nietzsche parla spesso di questi uomini superiori e afferma che l'umanità si rende decadente se non accetta l'idea della disuguaglianza. Chi è questo uomo superiore? Nietzsche ogni tanto lo descrive come un solitario, come un uomo audace, come un uomo che non assume valori imposti, ma li crea lui stesso. Ne consegue che Nietzsche sta dicendo che l'uomo superiore ha volontà di potenza. La volontà di potenza è quella volontà che sta alla base di ogni istinto nell'uomo, la volontà di potenza è il fondamento. Questa volontà chiaramente è anche forza e sopraffazione. Nietzsche dice che non c'è da meravigliarsi di fronte ad un uomo sfrutta un altro uomo. Egli afferma che questo fa parte della volontà di potenza, che è naturale. Afferma inoltre che la vita è offesa e sopraffazione. Non stupiscono, quindi, tutte le letture di destra di Nietzsche. Eppure sono esistiti marxisti nietzscheani e persino anarchici nietzscheani. Emma Goldman, ad esempio, sosteneva che il vero anarchico è aristocratico, aristocratico nel senso in cui lo intende Nietzsche.
Dopo
aver detto che la volontà di potenza è volontà di sopraffazione,
Nietzsche distingue due forme di morale: quella del signore e quella
dello schiavo. Le due morali cambiano profondamente rispetto alle
nozioni di bene e di male. Secondo Nietzsche in origine buono era ciò
che è nobile, mentre cattivo era lo spregevole. Quando la vecchia
aristocrazia è crollata, quando lo schiavo ha preso il sopravvento e
ha preso il sopravvento anche la sua morale, allora un'altra morale è
diventata quella dominante: una morale opposta alla prima. Nella
morale dello schiavo è il nobile a essere il cattivo, perché il
nobile è forte, guerriero, non ha compassione e soprattutto è un
egoista. La morale dello schiavo è fondata sulla debolezza, la
compassione e l'altruismo. La morale dello schiavo è la morale
dell'uomo del gregge, dell'uomo livellato, della massa, dell'uomo che
obbedisce o dell'uomo addomesticato. Nietzsche spesso identifica la
morale dello schiavo con la morale cristiana, come fa
nell'Anticristo.
Vediamo,
al contrario, questa morale del signore:
«A
rischio di dispiacere a orecchie innocenti, questo è per me un
fatto: l'egoismo è compreso nell'essenza dell'anima aristocratica,
intendo dire quella fede irremovibile che a esseri "quali noi
siamo" altri esseri debbano per natura restare sottomessi e
sacrificare se medesimi. L'anima aristocratica accoglie questo dato
di fatto del proprio egoismo senza alcun interrogativo e senza
peraltro avvertirvi un senso di durezza, di costrizione, d'arbitrio,
ma piuttosto come un qualcosa che può avere il suo fondamento nella
legge originaria delle cose- se cercasse di dare un nome ciò,
direbbe che "è la giustizia stessa".» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 210)
Le
parole qui sono molto forti, Nietzsche parla di "fede
irremovibile che a esseri 'quali noi siamo' altri esseri debbano per
natura restare sottomessi e sacrificare se medesimi". Il dominio
è un elemento essenziale che Nietzsche pone nella volontà di
potenza e ne rappresenta il suo lato oscuro. È chiaro di cosa sta
parlando, non esiste un modo per perdonarlo, ma alcune cose
andrebbero comunque dette sull'egoismo di Nietzsche. Jung, lettore di
Nietzsche, sostiene che amare se stessi, in realtà è un'impresa
molto difficile e l'amor fati di Nietzsche risponde proprio a questo
problema. La maggior parte della gente non è disposta amarsi per
quello che è, essa ama solo ciò che vorrebbe essere o diventare, ma
non quello che è. Nietzsche, invece, include nella morale del
signore l'autoglorificazione. Un obbiettivo del genere è possibile
solo quando l'uomo sarà capace di voler il proprio destino senza
desiderare in alcun modo di cambiarlo. Questo è il profondo egoismo
di cui parla Nietzsche e questo egoismo è molto diverso dall'egoismo
di chi vuole tutto per sé.
«La
profonda sofferenza rende nobili.» (Nietzsche, Al
di là del bene e del male,
Adelphi, Milano, 1968, p. 216)